Il numero di profili Facebook che potrebbero esser finiti nelle mani di Cambridge Analytica
“E’ una stima in eccesso”, spiega Zuckerberg. “Sulla efficacia dei messaggi e sul tipo di dati che Analytica ha avuto, stiamo ancora indagando e ci vorrà del tempo. Ma per ora possiamo dire che quello è il numero di persone che in teoria potrebbero esser state raggiunte”. Sulla reale capacità del cosiddetto “micro targeting”, i messaggi personalizzati, i dubbi in effetti sono tanti. Ma anche nel caso si tratti di una tecnica poco efficace, a Facebook si contesta l’aver lasciato che altre compagnie fino al 2014 abbiano potuto appropriarsi di così tante informazioni sugli utenti. “La vita è imparare dai propri errori. Nessuno aveva mai costruito una realtà come Facebook, non siamo perfetti, ma è un servizio usato da molti in maniera positiva”, si difende il fondatore del social network.
Zuckerberg annuncia nuove contromisure. Spiega che sono stati bloccati per la prima volta i troll russi e che dal 2016 la compagnia sta lavorando senza sosta per evitare che tornate elettorali importanti in tutto il mondo vengano condizionate. Messico, Brasile, Germania… “Abbiamo 15 mila persone che ci lavorano che presto diverranno 20 mila. Ma Facebook è un universo complesso. Mi piacerebbe poter dire che fra sei mesi avremmo risolto tutto ma ci vorranno anni. Anche se fra sei mesi si vedranno comunque dei miglioramenti”
Peccato che queste contromisure e restrizioni, sulle api in particolare, siano state introdotte solo adesso. In attesa di vedere i passi in avanti, Zuckerberg intanto dovrà testimoniare di fronte alla Commissione dell’Energia e del Commercio della Camera degli Stati Uniti mercoledì prossimo alle 10, ora della costa est, per parlare di “uso aziendale e della protezione dei dati degli utenti”. I parlamentari Greg Walden e Frank Pallone, rispettivamente presidente e membro della commissione, hanno affermato in una dichiarazione che l’udienza “sarà un’occasione importante per far luce sulle critiche questioni sulla privacy dei dati dei consumatori e aiutare tutti gli americani a capire meglio cosa succede alle loro informazioni personali online”.
Che Alexander Nix, fino a poco fa a capo capo di Cambridge Analytica, abbia potuto fare quel che ha fatto collaborando con Brad Parscale, numero due per il digitale di Donald Trump, è stupefacente. Altrettanto stupefacente però è che Parscale non sia stato toccato dallo scandalo, ma anzi è stato addirittura promosso, e che nessuno abbiamo chiamato in causa Trump. Segno dei tempi che corrono e del clima che regna negli Stati Uniti.
Scott Stringer, che sul social network ha investito un miliardo di dollari, chiede non a caso le dimissioni dello stesso Zuckerberg mentre Tim Cook, l’amministratore delegato di Apple, ha pensato bene di sfruttare il momento e di unirsi al coro di critiche. Eppure non è da lui che arrivano le considerazioni più taglienti. “Con l’avvento dei colossi del Web non abbiamo visto cambiare la struttura del potere, abbiamo solo assistito al trasferimento di quel potere da certe persone ad altre. E quest’anno abbiamo capito tutti che tali persone sono profondamente incapaci di gestire il potere per il bene di tutti”. Parola di Eli Pariser, l’autore di un saggio fondamentale come The Filter Bubble che già nel 2011 aveva puntato il dito sulla macchina dei giganti della Rete. Un’accusa però che riguarda tutta la Silicon Valley e non solo Zuckerberg e Facebook. Da REPUBBLICA di oggi.